Aurora è andata via da qualche minuto e Jacopo rimane da solo nel cortile/oasi di pace.
Si accende una paglia e osserva rapito le nuvole in alto, tinte di rosa e arancio dal sole che tramonta.
Ripensa ad Aurora e alla chiaccherata che hanno fatto. E più ci pensa, più si convince che Aurora gli piace davvero. Era da tanto che non si trovava così bene con una ragazza. Era da tanto che non sentiva quella specie di ansia dentro, all’altezza dello stomaco. E ride a pensarci.
Aurora lo rende felice, ma allo stesso tempo lo spaventa, se ripensa a tutte le sue storie passate. A quante volte ha sofferto per colpa delle donne. A quante situazioni impossibili ha vissuto per colpa dell’assurdo cosmico che è il gentil sesso.
A parte le stupide storielle da una sera e via, le ragazze di passaggio e gli intrippamenti che andavano e venivano, il nostro aveva avuto due storie più importanti delle altre.
La tipa numero uno si chiamava Francesca. Jacopo aveva appena diciotto anni, lei un anno meno. Si erano conosciuti a scuola, e parla e riparla, un sabato sera il nostro sbarbo si era trovato in bocca la lingua della suddetta tipa.
Insomma, sapete come vanno queste cose.
Erano stati insieme nove mesi o giù di lì. Nove mesi passati tra uscite con ritorno entro l’una, la gelosia angosciante di lei e una Gibson Les Paul che il padre di Francesca si era trascinato dietro direttamente dagli anni settanta.
Giuseppe, infatti, era un sessantottino che invecchiando non aveva perso il suo smalto. Uno di quelli che a vent’anni sogna di diventare una rock star e poi finisce a fare l’impiegato con una famiglia da mantenere.
Strano a dirsi, considerando la gelosia omicida nei confronti delle figlie femmine che caratterizza la figura del padre da migliaia di anni a questa parte, ma Jacopo e Giuseppe andavano d’amore e d’accordo.
Il nostro ci si trovava benissimo e gran parte delle sue conoscenze musicali sugli anni settanta le deve a lui e -ovviamente- a Francesca, degna figlia di suo padre: più che una ragazza era un intero vinile dei Led Zeppelin!
In effetti ancora oggi Jacopo si chiede se amasse Francesca, il padre o la Gibson Les Paul.
Comunque sia, alla fine con Francesca finì: non si lasciarono benissimo, ma si lasciarono di comune accordo.
Lui la amava -o credeva di amarla- ma odiava la sua gelosia soffocante. Allo stesso tempo lei amava lui -o credeva di amarlo- ma di Jacopo odiava la libertà che a lei non era concessa. Il saperlo in giro alle tre di notte, a vagabondare con gli amici, la rendeva folle.
E così dopo un litigio più violento, feroce e sanguinoso degli altri, la cosa finì.
Nove mesi buttati nel cesso. La sua prima grossa delusione.
E così ricominciò di nuovo quel circolo che già conosceva: qualche storia senza troppe pretese, qualche ragazza conosciuta al pub, qualche intrippamento pesante ma passeggero.
Quando finalmente, dopo un periodo che al nostro era parso infinito, era arrivata la tipa numero due.
La tipa numero due si chiamava Claudia e aveva giocato a squash col suo cuore.
Avete presente no? Strappi il cuore dal petto di una persona e mentre ancora gronda sangue cominci a giocarci a squash, facendolo rimbalzare tra pavimento e muro, tra pavimento e muro e così via. Finchè tutta la parete è imbrattata di sangue.
La coetanea ventun’enne Claudia l’aveva conosciuta grazie ad Alessandro, il cantante del gruppo in cui il nostro suonava la chitarra a quei tempi.
Alessandro e Jacopo non erano esattamente amici. A volerla dire tutta Alessandro era il tipico stronzetto arrogante e un po’ testa di cazzo. Uno di quelli che deve avere sempre ragione, anche se ha torto marcio.
E Jacopo, nonostante sia la persona più diplomatica di questo mondo, era arrivato ad odiarlo, soprattutto per le sue battutine bastarde. Di quelle che ti sputtanano davanti a tutti, sempre e comunque. Tu fai la parte del coglione, lui del simpaticone.
Fatto stà che Alessandro ci provava con la già citata Claudia.
In tutta sincerità, a Jacopo non interessava che Alessandro ci stesse provando: non era un suo amico, non c’era nessun “codice d’onore” non scritto da rispettare. Quindi si sentiva liberissimo di provarci comunque con Claudia.
Lei, dal canto suo, godeva tremendamente nel sentirsi spartita tra i due contendenti. E giocava con entrambi. Ma i poveri maschietti, succubi del suo fascino, questo non l’avevano capito.
E come non giustificarli! Nonostante Claudia non fosse il tipico donnone con uno stacco di cosce vertiginoso, aveva un fascino che non lasciava scampo. Lo sguardo tipico di chi la sà molto molto lunga. Aveva i capelli castani, il volto dai lineamenti delicati. Un piercing alla lingua che prometteva baci di natura sovrannaturale ogni volta che lei, distratta, ci giocava.
Quando lei finalmente si era stancata di giocare con entrambi, Jacopo l’aveva avuta vinta su Alessandro.
Una sera l’aveva portata a bere qualcosa in uno dei tanti localini del centro. Si erano ubriacati leggermente e tra una risata e l’altra c’era stato quell’attimo di silenzio. Si erano guardati negli occhi, giusto quel momento che serve per tastare le intenzioni dell’altro, e si erano baciati. Tutto era cominciato da là.
Nei sette mesi trascorsi con Claudia aveva vissuto momenti stupendi.
Uscite pomeridiane in vespa, sole e vento in faccia.
Un’intera estate passata tra uscite non-sense con gli amici, sempre mare e sole. E lei sempre presente.
Serate passate in spiaggia, fuoco e chitarra e voci e allegria, e lei sempre presente, lì accanto a lui.
E ancora innumerevoli situazioni.
E ancora fare l’amore.
E ancora e ancora.
Insomma, tutto sembrava andare a meraviglia.
Finchè, una di quelle sere calde di fine estate, il cellulare squillò.
Era Claudia.
«Jacopo ci vediamo stasera..? Ti devo parlare.» aveva detto.
Solo questo.
E il nostro, solo dal fatto che lei l’aveva chiamato col suo nome di battesimo e non con il solito nomignolo affettuoso, si era fatto un’idea molto chiara e molto negativa del discorso che avrebbero affrontato.
Era passato a prenderla in vespa. Lei restava in silenzio mentre lui guidava sicuro.
Lo smarmittio della vespa era un rumore assordante in tutto quel silenzio.
Il nostro già mentre guidava si preparava al peggio.
Ci era passato troppe volte attraverso quel silenzio per non riconoscere la fine quando arrivava. Silenziosa.
Jacopo aveva fermato la vespa ai bordi di una piazzetta tranquilla. Sempre in quel silenzio angosciante si erano diretti verso una panchina anonima, ricoperta di scritte.
Ancora un attimo di silenzio. Poi Claudia prende la parola, inquieta.
«Jacopo…non so come dirtelo…ho una gran confusione in testa…» gli aveva detto lei, evitando di guardarlo negli occhi.
Jacopo restò in silenzio.
“Dev’essere un brutto sogno” pensava, mentre si accendeva un’inevitabile sigaretta.
«Non lo so, non lo so…» disse lei « ho una gran confusione in testa… » ripetè.
«Io con te ci sto benissimo…» continuò lei.
«…però..?» la anticipò Jacopo.
«Però per me questo è un periodo davvero troppo strano…lo sai…l’università è un casino…i miei litigano in continuazione…E’ un periodo davvero di merda. Ho bisogno di una pausa…di stare da sola per ritrovare me stessa…»
“Si, dev’essere per forza un incubo, checcazzo” pensò il nostro, stroncato, la rabbia che dentro attecchiva.
«Ma Claudia…scusa…io sono qui per aiutarti…per sostenerti!». La rabbia cresce.
«No Jacopo, non puoi. È una situazione da cui devo uscire da sola. È finita…mi dispiace…non è colpa tua, sono solo mie paranoie…non è colpa tua…» disse definitiva.
La rabbia era un ringhio sordo che cresceva nella testa, che sentiva spingere sulle pareti del cranio per uscire ed esplodere. Una spinta costante concentrata sulle tempie.
Lui restava in silenzio, mandibole serrate, si concentrava sulle scritte della panchina.
Poi lei si aggravò.
«Jacopo, mi dispiace, davvero. Amici come prima…»
Amici come prima. Amici come prima!! AMICI COME PRIMA???
Le mandibole si serrarono ancora di più.
Lo sguardo assassino passò alla faccia di Claudia.
«Ma che cazzo dici Claudia?? Amici come prima! Ma-che-cazzo-dici?!? Le persone non le puoi trattare così, checcazzo! Siete tutte uguali cazzo..! Tutte uguali!!» ringhiava il nostro.
«Non appena avete le vostre paranoie in testa la prima cosa che viene buttata fuori è lo stronzo di turno, in questo caso IO!»
«Allora la vuoi sapere la verità, eh?» ribadì lei impetuosa e lì lì per scoppiare a piangere «la verità è che c’è un’altra persona e non riesco a togliermela dalla testa! Si chiama Fabrizio e…» stava dicendo tutto d’un fiato, finchè non si accorse dell’espressione a dir poco nazista dipinta sul volto di Jacopo. Proprio un attimo prima che la rabbia esplodesse.
«Non me fotte un cazzo di come si chiama! Sai che ti dico? Che non è neanche colpa sua, perché qua l’unica stronza sei tu! Sai che ti dico?? Fanculo! Io me ne vado! A casa ci torni con Pompinzio, o come cazzo si chiama quel coglione!»
E detto questo si alzò e se ne andò, mentre alle spalle lei ancora lo chiamava ad alta voce.
“Amici come prima…ma che cazzo dici…C’è un'altra persona…ma fanculo!” si ripeteva il nostro mentre si allontanava a passo sempre più deciso verso la vespa, dava uno strappo violento alla leva dell’accensione, e partiva scannando il motore.
La sera stessa era fuori con i fedelissimi. Di nuovo single, di nuovo parte integrante di quella tribù di amici che lo consolava ognuno a modo suo.
L’amico ‘Don Giovanni’: «Eccheccazzo Jacopo!» diceva «non prenderla a male, che tanto la vita da single è più bella, perché sei libero di provarci con chi vuoi! Un colpetto e via..!»
“Si, come no…” pensava il triste romanticone.
L’amico ‘Ponzio Pilato’: «Vabè, si vede che doveva andare così.»
“Bella risposta eh…grazie per l’attenzione”.
L’amico pluri-deluso dalle donne: «La verità è che sono tutte troie. Non si accontentano mai, MAI! Fanculo!»
“Forse c’è chi sta peggio di me…”.
L’amico ‘Freud’, quello che ti complica la vita: «Cerca di capire cosa provi per lei. Analizza tutti i momenti passati con lei, belli e brutti. Immagina la tua vita con lei e senza di lei, e sforzati di capire cosa vuoi adesso…»
“Cosa vuoi adesso?” si domandava Jacopo.
“Ah non lo so!” si rispondeva.
E il suo sguardo vagava, osservando il popolo della notte, che pascolava in un flusso variegato nella via. Tutto un tripudio di bottiglie di birra, bicchieri di vino, una ragazza carina e indifferente, sigarette smezzate e conseguenti spinelli, un’altra ragazza carina ma fighetta da far schifo, un mezzo conoscente che non verrà salutato.
Perso in mille gesti per dimenticare quelli di Claudia: il suo sorriso, il suo abbracciarlo, il suo muoversi nuda per la casa.
Perso in mille sguardi per dimenticarne uno solo.
Nei giorni successivi al distacco si sentiva come un’anima errante et solitaria, destinata a quell’eterno purgatorio che aveva passato fino a quel momento.
Si convinceva sempre più che l’amore è un’illusione tanto stupida quanto chi ci crede.
Chi cazzo glielo faceva fare, ogni volta, ad affezionarsi così tanto ad una persona? E perché continuava a pensare a lei? Perché non riusciva a tenere quell’anonimo distacco tra loro, come faceva lei? Dove avrebbe trovato la forza per ricominciare con un’altra persona, dopo aver provato la sensazione di essere buttato via come un preservativo usato?
Gli ci volle un periodo veramente merdoso per dare una risposta a tutte queste domande.
Lei lo ignorava, presa dalle sue nuovissime situazioni amorose. Lui ogni tanto cedeva alla tentazione di chiamarla. Ogni volta un errore, chiaramente.
Ma si sa, anche quando la ferita è davvero profonda, prima o poi si guarisce. E nel frattempo che le acque lentamente si calmavano, l'estate si era trasformata in autunno e il nostro si era iscritto all’università.
Università in cui l’abbondanza di materia prima da amare è tale che il nostro si innamora dodici volte nell’arco di un solo pomeriggio.
E adesso quelle dodici volte si sono condensate in una sola.
Adesso c’è Aurora.
Continua >> Quinto
mercoledì, aprile 19, 2006
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